Gli 800mila italiani che hanno sottoscritto un Pir sono consapevoli dei rischi?
La grande capacità dei prodotti finanziari è quella di attirare sempre più persone. Il problema è che si parla di qualcosa spesso molto complesso. Anche se viene passivamente accettata di risparmiatori, la complessità può dare risultati negativi inaspettati. Spesso, la sensazione generale è quella di prodotti costruiti appositamente per essere compresi a fondo da chi li ha ideati, insidie comprese. In poche parole, capita di non sapere su come o dove si sta investendo.
Quanto detto sopra accade a causa di quella che viene definita “asimmetria informativa”, ossia quella condizione che si verifica quando sull’operazione oggetto del contratto non sono conosciute in egual misura le informazioni da tutti i protagonisti.
Questa asimmetria si è verificata negli ultimi due anni nella maggior parte delle istituzioni finanziarie (banche, compagnie assicurative, reti di promotori ecc.), quando ai consumatori vennero offerti i Pir (Piani individuali di risparmio). A sottoscriverli sono stati in circa 800 mila, per un ammontare di denaro raccolto che va oltre i 14 miliardi di euro.
Per convincere tanta gente a sottoscrivere i Pir, i consulenti finanziari li avranno sicuramente indicati come contenitori fiscali in cui i risparmiatori avrebbero potuto collocare qualsiasi strumento finanziario, ossia obbligazioni, azioni, fondi comuni d’investimento e altro. In più, i Pir sono stati mostrati come mezzo per indirizzare i risparmi verso l’economia italiana reale, con un tornaconto importante in ambito di agevolazione fiscale. Insomma, i Pir si addicono ad un investimento senza tassazione delle rendite.
Un altro beneficio nel sottoscrivere i Pir è l’investimento a medio termine, di solito cinque anni, con una quota minima di 500 euro e di una massima di 30.000 euro annui. Quello che probabilmente non è stato neanche omesso è la limitazione dell’investimento, fattibile solo sul mercato italiano. Circa il 70% dei Pir riguarda aziende nostrane di piccola e media grandezza, oppure europee con sede sul nostro territorio. Il 30% rimanente viene indirizzato verso quelle imprese che non sono state inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa Italiana.
Ma le omissioni non saranno certamente mancate. Le domande che dovrebbero essere poste alle istituzioni finanziarie sono queste:
- Il cliente è stato informato sul lasso di tempo necessario per avere l’esenzione fiscale? Chi ha investito nei Pir nel 2017, siccome il periodo minimo è di cinque anni, di fatto potrà godere delle esenzione soltanto nel 2022.
- Il cliente è stato informato su costi effettivi associati ai Pir che, teoricamente, potrebbero annullare il vantaggio dell’esenzione fiscale?
- Al cliente è stato comunicato sull’effettiva natura dei Pir, ossia quelli di essere poco liquidi e molto volatili? La conseguenza diretta sarebbero le eccessive variazioni di prezzo e la non facile smobilizzazione in caso di necessità.
Se le omissioni evidenziate sopra non sono state tali, allora quelle 800 mila persone che hanno sottoscritto i Pir sono consapevoli in toto di aver investito tutti i propri risparmi su un prodotto poco sicuro e che spesso causa delle perdite.